La Cassazione ribadisce: il danno deve coinvolgere ‘un numero indeterminato di persone’.
Non è penalmente responsabile il padrone del cane che abbaia e fa rumore se ad essere disturbato è un solo vicino. Lo ha ribadito la terza sezione penale della Cassazione con una sentenza depositata il 30 settembre che non fa che confermare un principio consolidato in giurisprudenza. Nulla di nuovo dunque nell’annullare la sentenza del Tribunale di Oristano che condannava a 200 euro di ammenda una donna, giudicata colpevole del reato previsto dall’articolo 659 del Codice Penale (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone). La proprietaria veniva accusata di lasciare libero il cane nel suo cortile, lasciando che l’animale sia di giorno che di notte disturbasse la quiete e il riposo. Ma la Cassazione si è espressa diversamente: per la Suprema Corte, per l’integrazione del reato previsto dall’articolo 659 c.p., è necessario che «i rumori, gli schiamazzi e le altre fonti sonore indicate nella norma superino la normale tollerabilità e abbiano, anche in relazione allo loro intensità, l’attitudine a propagarsi e a disturbare un numero indeterminato di persone, e ciò a prescindere dal fatto che alcune persone siano state effettivamente disturbate; invero, trattandosi di reato di pericolo, è sufficiente che la condotta dell’agente abbia l’attitudine a ledere il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, ed è indifferente che la lesione del bene si sia in concreto verificata». Dove ha sbagliato il Tribunale di Oristano? Nel far derivare la configurabilità del reato "esclusivamente e apoditticamente, nell’affermata assenza della necessità di procedere a misurazioni strumentali". In sostanza, il giudice non ha valutato l’entità del fenomeno rumoroso, né l’esistenza di un concreto superamento dei limiti della normale tollerabilità. Errato anche appuntarsi sul fatto che "presso il cortile dell’imputata soggiornasse un solo cane, peraltro di taglia e razza imprecisata, sebbene sia di comune esperienza il fatto che l’intensità, e pertanto, l’attitudine ad arrecare molestia, dei latrati di un cane sia, di regola, direttamente rapportabile alla sua stazza, il quale usava abbaiare al passaggio sulla via di persone o di altri animali». Il Giudice sardo non ha valutato la potenziale idoneità dei rumori a disturbare un numero indeterminato di persone, «delle quali è, anzi, in maniera del tutto immotivata stante l’apparente assenza di altre lamentele oltre a quella del querelante, affermata la derivante avvenuta esasperazione».
LA MASSIMA
Ai fini dell’integrazione del reato di cui all’articolo 659 c.p. è necessario che i rumori, gli schiamazzi e le altre fonti sonore indicate nella norma superino la normale tollerabilità e abbiano, anche in relazione alla loro intensità, l’attitudine a propagarsi e a disturbare un numero indeterminato di persone, e ciò a prescindere dal fatto che alcune persone siano state effettivamente disturbate; invero, trattandosi di reato di pericolo, è sufficiente che la condotta dell’agente abbia l’attitudine a ledere il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, ed è indifferente che la lesione del bene si sia in concreto verificata. (sentenza 40329, sezione Terza, del 30-09-2014). (Professione Veterinaria, 32/2014, p. 10)