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Il cliente attore: un agente provocatore?

Considerazioni sull’informazione televisiva per finalità di scoop, denuncia e satira.

di ELENA GUERRESCHI, LUIGI CAMURRI Avvocati
Con il presente parere si vuole approfondire il tema dell’eventuale responsabilità penale dell’agente provocatore, ovvero di colui che agisce stimolando la condotta delittuosa altrui. In particolare, si è esaminato il caso relativo ad un servizio televisivo, in cui un attore chiedeva ad un veterinario di eseguire un intervento di conchectomia bilaterale a fini estetici sul proprio animale. Il veterinario, pur esplicitando il divieto espresso della normativa, si mostrava disponibile ad eseguire l’operazione: tuttavia, sarebbe stato necessario eludere la norma attestando un particolare stato di salute del cane, in modo
che l’intervento richiesto risultasse necessario da un certificato medico. A quel punto del servizio televisivo, interveniva il conduttore il quale, ovviamente, interrompeva le azioni onde evitare l’operazione. Orbene, il caso di specie, invero molto simile a tanti altri servizi, ormai ampiamente utilizzati dai programmi televisivi per smascherare soggetti apparentemente
dediti ad attività illecite, pone una serie di problematiche che si vanno ad esaminare. Innanzitutto, è necessario verificare se l’esecuzione di intervento di conchectomia integri una qualche fattispecie di reato. La conchectomia a fini estetici risulta vietata dalla Convenzione Europea per la Protezione degli animali da compagnia, in vigore dall’1.11.2011 e ratificata dall’Italia. Tale norma impone che “ gli interventi chirurgici destinati a modificare l’aspetto di un animale da compagnia, o finalizzati ad altri scopi non curativi, debbono essere vietati, in particolare: (…) b- il taglio delle orecchie (…)”. La lettura combinata di tale disposto con quanto previsto dalla disciplina del reato di maltrattamento di animali di cui all’art. 544ter c.p., il quale punisce coloro che cagionano lesioni agli animali per crudeltà o senza necessità o che li sottopongono a trattamenti che procurano un danno alla loro salute, fa propendere per una soluzione positiva. Ovvero, il professionista che, a scopi estetici o comunque non curativi sottoponga l’animale ad un intervento di conchectomia si renderebbe responsabile del reato di maltrattamento di animali, in quanto tale trattamento realizza sia una lesione dell’animale sia un danno alla salute dello stesso. Di conseguenza, l’agente provocatore, nel caso in esame avrebbe indotto il veterinario a commettere un reato, in particolare il reato di maltrattamento di animali di cui all’art. 544ter cp. In tutti i casi simili a quello in esame, sarà necessario previamente valutare la tipologia di comportamento stimolato dall’agente provocatore, per comprendere se si tratti o meno di fattispecie di reato punita nel nostro ordinamento. Secondariamente, bisogna accertarsi in quale stato di esecuzione si sia interrotta la fattispecie integrante reato: se si sia consumata o si sia trattato semplicemente di tentativo di reato (fattispecie di reato autonoma prevista e punita dall’art. 56 c.p., in base al quale colui che commette un tentativo di reato viene punito con una pena meno gravosa), oppure se si sia in presenza di una semplice manifestazione di volontà senza alcun atto effettivamente preparatorio all’esecuzione del delitto. Nel caso di specie, non sembrerebbero poste in essere tutte quelle azioni richieste dalla norma ai fini della punibilità del tentativo in relazione al reato di maltrattamento di animali: di fatto, l’azione è stata interrotta ben prima che venisse realizzato un qualunque atto idoneo al compimento, fermandosi alla sola manifestazione di volontà del veterinario a porre in essere l’operazione di conchectomia. Di fatto, l’azione era ferma ad un colloquio fra l’agente provocatore ed il soggetto, il quale stava manifestando le modalità con cui successivamente avrebbe potuto compiersi la condotta. Si potrebbe aprire una parentesi sulla possibilità che si sia consumato un reato di falso, in quanto il veterinario in questione ha effettivamente predisposto un certificato fasullo relativo allo stato di salute dell’animale, al precipuo scopo di eludere la norma che vieta l’esecuzione di tali pratiche. Pertanto, ogni qual volta si fosse di fronte ad un caso simile a quello in esame, al fine di valutare il tipo di responsabilità e/o coinvolgimento dell’agente provocatore, bisognerà valutare quale sia lo stato di avanzamento della condotta costituente reato. Poste queste fondamentali premesse, possiamo ora comprendere se e quali responsabilità vi siano in capo all’agente provocatore. Molto sinteticamente, nel caso in cui la condotta penalmente rilevante venga infine consumata, l’agente provocatore risponde del reato commesso in concorso con l’agente principale, e dunque, ai sensi dell’art. 110 c.p., verrà punito con le medesime pene previste per il reato in questione. Nel caso in cui, diversamente, la condotta sia stata interrotta, proprio grazie all’intervento dell’agente provocatore, e dunque sia sussistente il solo tentativo di reato, l’agente provocatore non risponde di nulla in quanto è assente l’elemento soggettivo del dolo. Difatti, ai fini della punibilità, è necessario che il soggetto abbia la coscienza e volontà di commettere un delitto: nel caso del tentativo, il soggetto ha la piena intenzionalità di commettere il reato, ma non porta a compimento i propri propositi in quanto la condotta si interrompe prima, per motivi esterni o per desistenza volontaria. Per l’agente provocatore, nel caso del tentativo, il requisito soggettivo del dolo è assente, in quanto costui non ha mai avuto l’intenzione o la volontà che il reato si consumasse: al contrario, l’obiettivo dell’agente provocatore è proprio quello della commissione del tentativo per assicurare il colpevole alla giustizia, senza che il reato venga davvero posto in essere. Nel caso di specie, non potendo neppure parlare di tentativo - in quanto gli atti compiuti non possono configurarsi quali idonei diretti in modo inequivoco a commettere il reato di maltrattamento di animali - l’agente provocatore non sarà ritenuto responsabile di nulla. In ogni caso, anche ammettendo il tentativo, è l’agente provocatore stesso che interrompe l’azione proprio per evitare il consumarsi del delitto, non voluto: non sussistendo alcun dolo, non vi sarà alcuna responsabilità. Di conseguenza, sia nel caso di specie che in tutta gli altri casi similari in cui la condotta integrante reato non viene consumata ma solo tentata, l’agente provocatore non ne risponde. L’agente provocatore non risponde neppure di altri reati, e non è possibile in alcun modo ipotizzare la commissione di fattispecie quali l’istigazione a delinquere, trattandosi di figura del tutto diversa, prevista dall’art. 414 cp, volta a tutelare l’ordine pubblico e a punire coloro che pubblicamente istigano a commettere uno o più reati. In questo caso, l’istigatore deve esaltare ed incitare altri soggetti a compiere determinati fatti delittuosi e ciò presuppone la piena volontà dell’istigatore a promuovere ed approvare condotte illecite poiché desidera che siano compiute condividendone la ragione ed esaltandone l’utilità. In conclusione, possiamo escludere che i servizi televisivi in cui viene utilizzato un agente provocatore che stimoli un comportamento penalmente rilevante al fine di smascherare soggetti abitualmente dediti (almeno apparentemente) ad illeciti penali possa essere dichiarato responsabile di alcunché, qualora la condotta delittuosa non venga consumata. Di fatto, siamo di fronte ad un fenomeno lecito dal punto di vista giuridico. (Professione Veterinaria, 27/2014, p. 6)

 pdfN._27_SETTEMBRE_2014.pdf

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