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Uccisero il taxista che aveva investito il cane

Per un cane si può uccidere? Con l’aggravante dei «futili motivi».

Tre condanne per omicidio volontario e non preterintenzionale, con l’aggravante dei futili motivi, per l’uccisione del tassista assassinato per aver investito un cane. La Cassazione penale (sentenza n. 35417 del 14 agosto) ha così chiuso la vicenda
accaduta nell’ottobre del 2010 a Milano, dove il cane della fidanzata di uno dei tre imputati era a passeggio senza guinzaglio nelle vicinanze di casa e attraversava repentinamente la strada. Il cane finiva sotto l’auto del taxista che - fermatosi porgeva le sue scuse, ma veniva insultato dal primo degli imputati («ti ammazzo, ti ammazzo») e colpito violentemente dal secondo, fratello del primo e fidanzato della proprietaria in lacrime. Una violenta ginocchiata alla testa del taxista, già piegato dai precedenti pugni, ne causava la morte dopo trenta giorni di coma.

MOTIVI FUTILI

Per la Cassazione che ha confermato la condanna penale degli imputati sussiste l’aggravante per motivi futili, in relazione alla «sproporzione fra il movente, riferito all’investimento del cane, e la condotta omicidiaria, come realizzata». Rigettato l’alibi secondo il quale il principale imputato avrebbe partecipato alle operazioni di soccorso del cane con arrivo alla clinica veterinaria, di modo da mettere in discussione la sua presenza durante l’intero svolgimento dei fatti. L’aggravante dei futili motivi - in giurisprudenza - sussiste «quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente
insufficiente a provocare l’azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un
mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale». «Orbene - conclude la Cassazione - nella presente vicenda la sproporzione tra l’antefatto (l’investimento di un cane) e l’uccisione di un uomo disegna un caso di scuola di immediata evidenza». I giudici hanno escluso anche la rilevanza del fidanzamento: la difesa non può invocare profili soggettivi, atteso
che a costui erano propri i motivi che lo spinsero all’aggressione (il cane era della sua fidanzata). «È dunque erronea, in fatto, la deduzione del ricorrente secondo cui l’aggravante in parola sarebbe stata riconosciuta su base astratta, emergendo la stessa invece dalla concreta condotta personale di esso imputato». (Professione Veterinaria, 28/2014, p. 6)

 pdfN._28_SETTEMBRE_2014.pdf

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